Se la tua terra venisse disintegrata, tu come reagiresti? Atef Abu Saif ha reagito rifugiandosi nei libri, lottando con le parole, rompendo il silenzio per far arrivare a tutti la sua esperienza che ha raccontato venerdì 3 ottobre all’incontro di Internazionale durante l’intervista con Francesca Gnetti.
In una situazione di inabitabilità e distruzione Gaza resta un caposaldo della storia, dai Romani fino ad oggi. Prima del 7 Ottobre 2023, questo territorio per molti era una casa, un posto sicuro, dove poter studiare, crescere, vivere. Poi Israele ha deciso di modificarne il destino, compromettendone il futuro.
Atef Abu Saif si affida alla scrittura per ricordarci ciò che altri hanno deciso di cancellare: Gaza era uno dei centri di cultura più importanti al mondo, con diciannove università ed innumerevoli musei che oggi cadono in macerie su un terreno avvelenato dalla guerra.
Gli abitanti di Gaza sono costretti a combattere per mantenere vivo ciò che conoscono. I simboli della cultura sono la prima cosa che viene colpita, le case crollano e si pensa di perdere un filo comune. Le persone ricordano il passato per avere la forza di lottare per tornare alla normalità. Infatti, come dice Abu Saif, “The last thing that we, palestinian people, have to do is forget” (“L’ultima cosa che noi palestinesi dobbiamo fare è dimenticare”).
Da questi momenti nasce Diario di un genocidio (Fuoriscena, 2024), un libro che narra le storie delle persone, la nascita e la morte del padre, le lotte per la sopravvivenza e la fede nel continuare a mantenere la testa alta contro coloro che sono nel torto.
Anche prima della guerra i palestinesi provavano sofferenza nel lasciare la propria terra e non si spostavano a meno che non fossero strettamente obbligati.
Il mare, infatti, ci viene presentato come un semplice confine, niente di più: i palestinesi non sono navigatori, non conoscono il mare, stanno vicino alla loro terra. Abu Saif ce lo descrive come uno “stato nel mezzo”: Gaza si trova tra due mondi, terra e mare, ma ha deciso di stare nell’esatta metà, senza sentire il bisogno di spingersi oltre. Vita appesa ci racconta dunque di un conflitto interiore: lasciare la propria terra per sopravvivere, o lottare per la sopravvivenza della propria terra?
Abu Saif ricorda, ma soprattutto, ci ricorda, che questa guerra va avanti da tre anni, le persone sono stanche, atterrite, impotenti. “This has to stop, and if they don’t stop we have to force them” (Tutto questo deve avere una fine, e se loro non vogliono fermarsi dobbiamo forzarli), conclude lo scrittore.
È un uomo che ha visto l’inferno e non ha paura di raccontarlo, perché il silenzio uccide, mentre le parole salvano.