Oggi, 16 maggio 2025, nella Sala Oro del Salone del Libro di Torino, noi, il Gruppo di Lettura del Bookstock, abbiamo avuto l’immenso onore di intervistare un uomo dalla cultura eccezionale, ormai un’istituzione dell’Italia di oggi: Roberto Vecchioni.
L’editore Piemme ha deciso di affidare la presentazione dell’ultimo libro del Professor Vecchioni – L’orso bianco un tempo era nero, storia e leggenda della parola – e noi abbiamo deciso di gestirla a modo nostro, senza privarci del brivido di mettere in difficoltà il Professore.
Non potevamo sperare in un inizio migliore: Vecchioni, acclamato da una folla applaudente in plateale visibilio, sale sul palco ballando, abbracciato dal suono dell’amore del suo pubblico. Come ogni gentiluomo che si rispetti, dopo aver ringraziato tutti, si è curato di chiedere all’interprete in LIS se il suo ritmo fosse troppo sostenuto: “è perfetto” ha detto e segnato lei.
Non si è risparmiato di interagire neppure con noi sul palco, mescolando autoironia, brillanti colpi di sagace ironia e anche (e soprattutto) tanta emozione.
Come si intervista una personalità poliedrica come Roberto Vecchioni? Scrittore, cantante, Professore, scrittore di rebus e bisensi per l’enigmistica (sotto pseudonimo), poeta d’amore e grande appassionato della parola, anch’essa poliedrica. Se non si fosse già intuito, sappiate che il suo nuovo libro parla di parole, ma non è un libro di linguistica, non ne ha le pretese e nemmeno la forma: “Non ho nessuna intenzione di sciorinarvi un’opera corretta, metodica, e men che meno colta, accademica […] L’intento è un altro: è quello di farvi innamorare”, quello di farci innamorare della parola.
Il libro è il racconto della storia della parola e della sua leggenda, della sua evoluzione per sé e con le altre parole, nella costruzione di sofismi, giochi ed enigmi. “La parola entra come una spada dentro al cuore, e gira, e girando ne produce altre”, “può far cambiare pareri, idee, girando può raccogliere cosa c’è dentro un’altra persona: la parola è il collegamento ideale, perfetto, meraviglioso”.
“Qual è, tra le parole che ha usato, la sua preferita?”, la sua risposta è stata in un certo senso prevedibile, ma comunque poetica: c’è una parola che riunisce e rappresenta tutte le altre, e quella parola è amore; poi ce ne sarebbe un’altra, che è umanesimo, “perché l’umanesimo è amore per questa maniera meravigliosa di conoscerci tutti”, ma torniamo alla prima. Per il Professore, l’amore va oltre quello “semplice” tra due persone. Lui si riferisce all’amore come “comprensione di tutto il mondo”, che unisce e porta le une accanto alle altre anche le cose più incredibilmente lontane, perché tutte le cose sono legate tra loro. “L’amore è il primo termine di convinzione di essere persone e avere persone uguali accanto… nell’amore c’è tantissima democrazia”.
Vecchioni ci ha incantati con la sua dialettica, i suoi riferimenti alla poetica – da Catullo alla Dickinson, da Aristofane a Sofocle – con le sue parole e le sue parole d’amore, con una gioia trascinante, visibile prima che altrove nel suo sorriso incantato e negli occhi luminosi pieni di meraviglia, quegli stessi occhi che a un certo punto, con grande stupore di tutti, si sono lucidati di commozione. L’emozione è stata accolta con un caloroso applauso, mentre il Professore nascondeva gli occhi con la mano e rinnovava con una risata d’imbarazzo quella promessa implicita di voler insegnare per amore vero.
In questo momento di grande emozione, abbiamo deciso di sottoporgli un dilemma abbastanza intricato. Come riportato nel libro, l’amore (a-mors) è il luogo dove la morte smette di esistere e secondo noi questa lettura è eccezionalmente significativa, oltreché evocativa. Esiste però nella nostra lingua un’espressione oltremodo curiosa, se non addirittura paradossale: morire per amore. Vecchioni ci ha quindi spiegato come, salvo drammatici casi estremi, morire per amore è qualcosa di figurato. L’amore è anche tristezza, è anche e soprattutto soffrire, perché l’amore è più intenso nel dolore rispetto che nella gioia. È un’emozione che non si capisce se non la si prova.
Uomo del Novecento, irremovibilmente fedele al suo secolo, Roberto Vecchioni continua a mettersi in gioco e imparare cose nuove. Ha dichiarato di conoscere anche termini dello slang giovanile… Occasione perfetta per interrogare il Professore, no? Noi, membri a pieno titolo della generazione Z, abbiamo avuto l’ardire di interrogare il Professore sui termini gergali attualmente molto diffusi, sfidandolo a cercarne il significato. Primo termine: “chill”. In termini informatici potremmo dire vecchioni.exe ha smesso di funzionare, in italiano diremo che l’abbiamo decisamente colto alla sprovvista: scena muta. Decisamente non un ottimo inizio, ma le cose sono state migliori per le due parole successive: “cringe”, da lui definita come “sicuramente qualcosa di negativo”, e “flexare”, per la quale è risalito al corretto originale latino flecto, piegare, ma che poi ha interpretato come un mettersi a servizio di un altro. Lo possiamo promuovere? Il problema non si pone, perché di fronte all’ultima domanda – Preferirebbe tornare in classe come studente o rimanere Professore? – risponde senza ombra di dubbio “rimanere insegnante”. “Io faccio tante cose, tutta la mia vita ho fatto tantissime cose, però se qualcuno mi dicesse: qual è la cosa che ami di più in assoluto tra tutte quelle che hai fatto? Ti giuro che è stato insegnare”.