Oggi, 15 maggio, ricorre l’anniversario della Nakba, la giornata commemorativa dell’esodo palestinese del 1948 a seguito della proclamazione dello Stato di Israele. A distanza di un ventennio, nel 1967, ha luogo la Guerra dei sei giorni, con la quale Israele occupa la Cisgiordania, la Striscia di Gaza e altri territori limitrofi. È in questi anni che è ambientato il romanzo Il ragazzo con la kefiah arancione (Ponte alle Grazie), presentato dall’autrice Alae al Said nell’incontro odierno al Salone del Libro di Torino.
Il libro ha inizio negli anni Novanta: ad Al Khalil, in Cisgiordania, il quarantenne Loai racconta a un giornalista americano la storia della sua fabbrica di kefiah, tradizionale copricapo arabo. Il protagonista fin da piccolo deve affrontare il problema del bullismo che, spiega Alae al Said, è il riflesso di un’ingiustizia su larga scala: per un bambino il sopruso più grande è quello subito tra i banchi di scuola, dove trascorre la maggior parte della giornata, mentre per uno Stato è la negazione della propria esistenza e della propria autodeterminazione.
Nonostante i bombardamenti subiti dagli ospedali, le stragi e l’isolamento al quale sono costrette le città palestinesi siano sotto gli occhi di tutti, ancora si fatica a comprendere la gravità della situazione. Da un lato la maggioranza dei governi non agisce in un’ottica umanitaria, dall’altro i mass media tendono a sminuire o a spargere disinformazione, definendo una “semplice” guerra quello che in realtà è un atto di colonialismo e un genocidio. Inoltre, chi comprende davvero la portata della questione palestinese spesso non agisce nel concreto, perché non si ha fiducia nel potere del popolo o ci si sente impotenti di fronte a tali atrocità. Alae al Said, però, ha ribadito l’importanza di non restare indifferenti e di manifestare il proprio sostegno anche con piccoli gesti, come alzare la mano in classe per spiegare la vera natura di questa “guerra”, che creano consapevolezza per poter cambiare l’opinione comune e permettere di essere a posto con la propria coscienza politica.
Durante l’incontro non si è parlato solo di un libro, ma della storia di un popolo, dei crimini che ha subito e che ancora subisce. Nonostante tutto questo possa apparire lontano da noi, l’autrice ci insegna che la disumanizzazione dei palestinesi e l’indifferenza delle autorità ci riguardano perché “se oggi il diritto internazionale è crollato, non è crollato solo per i palestinesi, ma per tutti”.