Giulia era una ragazza solare, piena di sogni ed ambizioni, e stava per raggiungere il primo grande traguardo della sua vita: la tanto ambita Laurea in Ingegneria Biomedica all’Università di Padova.
Una laurea che conseguirà mesi dopo, tra il rumore delle chiavi agitate in aria in memoria di lei e di tutte le donne che hanno perso la vita per mano di un uomo.
Secondo i dati delle Nazioni Unite, infatti, i femminicidi nel mondo nel 2022 sono stati 89.000. Questo significa 7416 al mese, 243 al giorno, dieci all’ora, cioè quasi uno ogni cinque minuti.
Ricordiamo tutti quel 18 novembre, quando la notizia del ritrovamento del suo corpo ci ha fatto gelare il sangue nelle vene e pensare “ecco, l’ennesima donna uccisa”. L’ennesimo bagliore di speranza distrutto dalla violenza e dalla cultura patriarcale che ancora regola la nostra quotidianità.
Giulia aveva solo ventitré anni quando il suo ex fidanzato, Filippo Turetta, l’ha privata con brutalità della libertà di vivere. Un ”No.” era troppo da sopportare, la sua vita doveva terminare con il loro “amore”.
Della sua storia racconta il padre, Gino Cecchettin, domenica 12 maggio presso il SalTo24, nel tentativo di elaborare un “dolore incandescente” e riconnettersi con la figlia.
Con la sua pubblicazione, “Cara Giulia” (Rizzoli), scritta a quattro mani con Marco Franzoso, il padre intende così costituire una continuazione della loro vita insieme, rimediando ai non detti, al tempo mai sufficiente e agli affetti mancati.
Con la sua bontà ed il suo sorriso è stata infatti Giulia a dare lezioni di vita al padre e non viceversa: tra i sorrisi e la commozione del pubblico Gino racconta attraverso dei brevi aneddoti come ha imparato a dare valore al tempo e alle persone grazie alla figlia e alla sua grande capacità riflessiva.
“Faceva la voce di una nonnina” – dice – “le bastava uno sguardo per farti capire che stavi commettendo un errore. A lei devo molto”.
Come si può allora andare avanti?
“Alla morte di Giulia, avevo due possibilità: lasciarmi andare o rialzarmi e lottare per la felicità, anche per i miei figli. Perché alla fine il dolore rimane, è pervasivo, ma la giornata è fatta di tanti piccoli momenti da vivere.”
Nonostante le critiche ricevute, che lo accusavano di superficialità in quanto non conforme ad una rassegnazione passiva al lutto, la vicenda ha costituito in Italia un vero e proprio punto di svolta.
Ognuno ed ognuna di noi, a causa del tragico risvolto della vita di Giulia, si è posto delle domande, ha interrogato i suoi stessi comportamenti, facendo proprio il lutto di quella famiglia.
Come ha affermato Marco Franzoso, al fianco del padre sia durante la stesura del libro che durante l’incontro, “è questo che ci fa credere in un cambiamento. Grazie a Giulia e a tutte le donne vittime di femminicidio, forse, qualcosa potrà finalmente cambiare”. Sarà questo l’obiettivo della Fondazione dedicata a Giulia che vedrà la luce nel prossimo novembre.
“Tutti nella vita abbiamo una piccola o grande storia di dolore, ma questo non ci deve affossare. Deve diventare un trampolino di lancio verso un mondo migliore; bisogna sfruttare il dolore per avere più forza.” Se ce l’ha fatta Gino Cecchettin possiamo farcela tutti.