“La sofferenza non è un affare individuale”. E’ con questa frase che si è inaugurato l’incontro tenutosi il 19 maggio al Salone del Libro che ha visto coinvolti la psicoterapeuta Valentina Mossa e lo scrittore Marco Rovelli, che nell’occasione ha presentato anche il suo ultimo libro “Soffro dunque siamo”.
Il titolo introduce l’urgenza dello scrittore di considerare i disturbi psichiatrici come un fenomeno sociale che coinvolge tutti i gruppi con cui l’individuo entra in contatto. Viene evidenziato quindi che l’ambiente, le relazioni e le comunità di riferimento dell’individuo (che quindi secondo l’autore diventano condividui) sono parte integrante del problema e devono rientrare nella cura. Lo scrittore vede nel metodo finlandese dell’open dialogue l’opportunità di entrare nella realtà del paziente e risolvere il problema all’interno dello stesso ambiente in cui si è generato. Il coinvolgimento personale eviterebbe di rendere totalizzante la cultura del farmaco che trova espressione nelle rigide diagnosi, definite da Rovelli “L’ideologia che vuole il malato identificato con la sua malattia”.
Secondo lo scrittore la pandemia è stata solo la riconferma e l’esaltazione di questa problematica già dilagante nella nostra società. Il focus ricade proprio sull’origine del problema: il fallimento, il nuovo incubo generazionale. I giovani sono sottoposti ad un paragone continuo con il cosiddetto “mondo vetrina” dei social di cui parla lo psicoterapeuta Charmet. Sono esposti poi anche ad alcuni slogan dei brand più famosi, come ad esempio “Just do it” o “Impossible is nothing” che riconducono il successo ad un merito personale.
Grazie al confronto con numerosi psichiatri che gli hanno fatto da consulenti per la redazione del testo, Marco Rovelli riesce ad analizzare la tematica in tutte le sue sfaccettature, permettendo al lettore di immedesimarsi e riflettere sulla possibilità di quella che lui stesso definisce “liberazione collettiva”.