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Lisbona, 15 aprile 2023
Settanta anni fa la Lisbona anti-salazarista apprendeva con sgomento la notizia della morte dell’esimio dottor Pereira, intellettuale, scrittore, caporedattore della pagina culturale di questo quotidiano e soprattutto oppositore del regime dittatoriale più lungo d’Europa. Chiunque lo avesse conosciuto prima dei suoi sessant’anni lo avrebbe definito un uomo riservato, negazionista ed estraneo, per istinto di autoconservazione, agli sconvolgimenti del mondo. Mentre l’Europa diventava teatro d’orrore, sedeva indifferente al tavolo di una trattoria a gustare limonata zuccherata e omelette alle erbe aromatiche. Chi l’avesse osservato avrebbe colto lo sguardo di un uomo rassegnato, solitario e malinconico che passeggia lungo l’oceano a passo lento ripensando al passato, alla moglie defunta, al figlio mai avuto. In una torrida giornata estiva del 1938 avvenne però l’incontro fatale con Monteiro Rossi e il dottor Pereira nacque una seconda volta. Quel giovane bizzarro, sovversivo, misterioso, irrequieto, fece breccia nella sua coscienza e nel suo cuore, colmandone il vuoto e la solitudine. Chi avesse incrociato ora il suo sguardo avrebbe visto un uomo ardente di passione giovanile e con la voglia di lottare silenziosamente, con i mezzi di un anziano giornalista che ama Bernanos e beffa la dittatura gridando “Viva la Francia!” nei racconti di Balzac che traduce. E dulcis in fundo l’atto eroico: dopo aver assistito impotente al brutale omicidio di Monteiro ad opera della polizia fascista, armato di inchiostro, freddezza e lucidità, ne scrisse un nobilissimo necrologio denunciando pubblicamente i soprusi del regime. Perché questo è il compito di un intellettuale e noi, giornalisti del Lisboa, suoi eredi, se oggi possiamo percorrere a testa alta con passo fiero “Avenida da Liberdade”, lo dobbiamo anche a lui.
«il Lisboa», pagina culturale, rubrica Ricorrenze