Inclusione: è davvero giusto usare questo termine? Proprio di questo hanno parlato Fabrizio Acanfora, scrittore e attivista, e Vera Gheno, sociolinguista e divulgatrice, all’incontro Di pari passo. In passato, dopo la segregazione causata dai totalitarismi, si è iniziato ad usare il termine “integrazione” per indicare l’ammissione nella società di una moltitudine di persone. Tuttavia, l’uso di questa parola imponeva un modello standard che doveva essere seguito da tutti coloro che partecipavano alla collettività. L’espressione “inclusione“, usata oggi, presenta delle analogie con “integrazione”: impone infatti che ci sia una normalità nella quale si viene inclusi. Il concetto di normalità è entrato nel pensiero comune solo all’inizio del Novecento, dopo la Seconda Rivoluzione Industriale: con la migrazione di grandi quantità di persone nelle città, la messe di dati sulle nascite e le morti, si è iniziato ad applicare la statistica allo studio dell’uomo, creando dei modelli standardizzati sulla base dei dati più frequenti. Questi studi hanno portato alla formalizzazione del concetto di “uomo medio”, una standardizzazione dell’individuo per mezzo di caratteri precisi.
La Gheno cita Kübra Gümüsay, autrice tedesca di origine turca: “le persone tendono a dare per scontato che la lingua funzioni per tutti come funziona per loro”. Spesso si tende infatti a pensare che se a una persona non crea problema essere definita con un determinato aggettivo, questo si possa utilizzare con chiunque, quando potrebbe essere in realtà considerato discriminatorio o offensivo da altri: per questo bisogna pesare ogni parola utilizzata nella quotidianità. Si è soliti associare la diversità, soprattutto la disabilità, alla sofferenza. Per modificare quest’idea bisogna eliminare il concetto di normalità.
Un altro argomento affrontato è stato il diritto di autorappresentanza: si sente dire che serve dar voce a chi non ne ha, ma tutti ne hanno; ciò che manca è lo spazio per farla sentire. Le persone che cercano di esprimersi su questo tema spesso non vengono ascoltate solo perché non fanno parte dello standard definito dal concetto di normalità, e sono considerate ai margini della società. Una società che si basa sulla competitività e la produttività non comprenderà mai tutti. Bisogna quindi cambiare la mentalità delle persone per realizzare un mondo in cui convivano le differenze.